Saggio in 4 capitoli di un lettore che prende spunto dal caso di Greta Beccaglia. Se non avete pazienza concentratevi sugli ultimi due capitoli.
Elogio della Pacca sul Sedere
Ha ragione la giornalista: “Tu questo, mica lo puoi fare, mi dispiace, ma non lo puoi fare. Le mani addosso no”.
Non ci sono argomenti (almeno non in un mondo fondato sulla ragione, non in una società basata sul rispetto del prossimo, non in uno Stato dove la legge sia uguale per tutti) per smentire l’affermazione che la bella cronista ha fatto appena l’ormai famoso tifoso dell’Empoli le ha proditoriamente palpato il sedere passando davanti alla telecamera. Nessuno può permettersi di allungare le mani per alcun motivo su chicchessia.
Non ho nemmeno un “vissuto” che in modo pre-razionale possa portarmi ad oppormi: anzi, quando da liceale venivo “preso in mezzo” dai compagni di scuola che mi circondavano e provavano in tutti i modi di toccarmi (non il sedere, ma qualunque parte del corpo potesse esser solleticata con le dita), provavo un grande fastidio (forse l’unica cosa fastidiosa dell’andare a scuola per un secchione come me) ed avevo reazioni ben più rabbiose e veementi di quella della giornalista “molestata” in tv (tanto da venire in quei frangenti perfidamente soprannominato “il gibbone” proprio per il mio “imbestialirmi”).
Io non sarei riuscito ad accettare il “consiglio dalla regia” di “far finta di niente”.
Eppure, quando ho sentito che per quella pacca sul sedere davanti allo stadio si è alzato il finimondo sui social e sui media tradizionali (quando ormai i soliti “tafferugli” e le consuete “devastazioni” ad opera degli ultras del calcio non fanno più notizia da anni), si sono scomodati i presidenti di camera e senato, si è chiamata la Digos (quando se davanti allo stadio qualcuno mi ruba il portafoglio in questura sì e no si fanno carico della denuncia), si è proceduto con la stessa urgenza e lo stesso clamore di un atto terroristico (quando se qualcuno mi aggredisce fisicamente probabilmente nessuno dei “ cavalieri” bianchi in divisa blu si muoverebbe con tale solerzia per rintracciare gli autori), si è istituita la gogna mediatica per il “colpevole” (quando nessuna gogna è imbastita dai media per chi ha ieri ammazzato di botte un uomo perché, ahilui, stava difendendo l’amica da uno stalker) e, con un processo sommario, lo si è condannato seduta stante a 3 anni di “daspo”, ho capito che era tempo di scrivere un “elogio della pacca sul sedere”.
Non perché voglia “affermare il diritto” di toccare i “lati b” di donne e ragazze per strada, ma per rilevare come ormai in questo occidente, a causa di stupidità cavalleresca e demagogia femminista, non vi siano più né la ragione (essere razionali implicherebbe conoscere sempre una misura in tutte le cose), né il rispetto dell’altro (soprattutto dell’altro sesso, cioé di noi uomini-maschi), né l’uguaglianza davanti alla legge. Ovvero, nessuna di quelle cose in nome delle quali le femministe sono sempre pronte in questi casi a stracciarsi le vesti. Ma vediamo punto per punto i citati aspetti.
Cap. 1 – LA TRADIZIONE DELLA BEFFA TOSCANA (perché lo “scherzo di mano” non nega alle donne il diritto di non essere molestate)
Affermare che nessuno abbia il diritto di toccare chicchessia per alcun motivo e contemporaneamente assolvere il gesto del tifoso dell’Empoli non è affatto una contraddizione, se si considera quest’ultimo come una beffa, ponendola nel solco della tradizione “carnascialesca”.
Tutti sappiamo che il nostro “carnevale” deriva dei “baccanali” romani (i quali loro volta riprendevano culti “dionisiaci” dell’Oriente): in quei giorni le regole civili e le gerarchie sociali erano sovvertite, tutto (la sessualità, il mangiare, ecc.), in particolare i piaceri più materiali e grossolani, diventava licenzioso (non per niente “carnem levare”) e gli schiavi bastonavano i padroni.
Quei giorni di licenza erano in un certo qual modo la “garanzia”, o comunque la testimonianza, che le regole e le gerarchie momentaneamente violate o ribaltate continuassero a sussistere per il resto dell’anno e per tutti gli anni a venire (per qualcuno erano addirittura una valvola di sfogo sostanzialmente “reazionaria” e volta a scongiurare “rivoluzioni”).
Nella nostra letteratura, il concetto di “mondo alla rovescia” è ben presente a partire fin dalle origini. Già nel Trecento, contemporaneamente alla poesia “alta” stilnovista, che vedeva la donna angelicata come immagine dell’intelligenza divina (ricordiamo il dantesco “donne ch’avete intelletto d’amore” ) vi era quella “bassa” che contrapponeva alla Beatrice di Dante ed alle varie Monna Vanna e Monna Lagia, la “Becchina” di Cecco Angiolieri (brutta, bisbetica e con cui litigare a più non posso). L’intento di Cecco non era davvero quello di “insultare” o “svilire” le donne fiorentine, ma di prendersi gioco dell’esaltazione estetico-filosofica della figura femminile che, se allora non rischiava ancora di portare allo “zerbinismo”, perlomeno risultava stucchevole agli occhi di un fiorentino “verace”.
Più in generale, Cecco Angiolieri è il primo grande poeta che concepisce la scrittura come “attacco al potere culturale” o, perlomeno, come “azione corrosiva” verso tutto quanto è considerato “sacro”, “alto”, “intoccabile”. Tutti noi ricordiamo il suo più famoso sonetto:
S’i’ fosse foco, arderei ’l mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempesterei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;
In un’epoca in cui il cristianesimo insegnava ad essere (almeno sulla carta) mansueti, umili, pacifici e innocui (per dirla con Nietzsche: “animali da gregge”), questi versi esaltavano l’animo incendiario e tempestoso di chi, col suo ghigno beffardo, ama “essere contro”, proponendosi, provocatoriamente, di nuocere massimamente al prossimo in tutti i modi possibili (col fuoco, col vento, con le inondazioni dell’Arno, persino con un flagello divino).
s’i’ fosse papa, sare’ allor giocondo,
ché tutti cristïani imbrigherei;
s’i’ fosse ’mperator, sa’ che farei?
A tutti mozzarei lo capo a tondo.
In un tempo in cui ancora suonavano gli echi della lotta per le investiture fra Papato e Impero e in cui la vita politica di Firenze era seriamente segnata dalle spaccature fra Guelfi e Ghibellini e fra Guelfi bianchi e Guelfi neri (con tanto di esili, confische, condanne a morte, violenze di piazza), Cecco si fa beffa di tutte le opposte ideologie, di tutto quanto era per i suoi contemporanei “serio”, “importante”, e “al centro del mondo”, ponendole come semplici pretesti per gettare la gente nel caos o, addirittura, per decapitare a casaccio.
S’i’ fosse morte, andarei da mio padre;
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:
similemente farìa da mi’ madre.
Nemmeno il comandamento biblico “rispetta il padre e le madre”, forse quello preso più seriamente dalla società tradizionale del medioevo (basata non solo sul senso della famiglia e dell’onore, ma anche sugli interessi del “casato”), viene risparmiato dalla corrosiva penna di Cecco.
S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
e vecchie e laide lasserei altrui.
In opposizione alla “bluepill” che evidentemente già nella Firenze del Trecento costringeva in pubblico a dire che l’amore è una questione di “apprezzamento della persona e delle sue doti sentimentali e intellettuali”, quel “redpillato” dell’Angiolieri proclamava senza mezzi termini che all’istinto sessuale interessano solo bellezza, giovinezza e prestanza fisica, non certo “il carattere” o “il rispetto” (oggi chiameremmo la sua terzina “body shaming”).
Nel secolo successivo, durante il Primo Umanesimo, mentre a Ferrara il Boiardo dava l’avvio alla “moda letteraria” (ripresa dalla letteratura trobadorica francese) del poema epico-cavalleresco, sempre in Toscana il Pulci si inventava le avventure del gigante Morgante (che morirà per il morso di un granchiolino) e del nano Margutte (che morirà per eccesso di risate) come la più dissacrante versione parodica degli “eroi romanzeschi”.
Ancora il secolo dopo, in piena era rinascimentale, un altro poeta toscano, Pietro l’Aretino, autore dei “sonetti lussuriosi” (“fottiamoci anima mia, fottiamoci presto/ che tutti a fotter nati siamo…”), era famoso per vivere di scherzi ai danni persino dei potenti (si racconta che abbia addirittura messo su “scherzi a parte” lo stesso papa, Alessandro VI Borgia, facendogli trovare una mattina la sua camera allestita come un girone dell’inferno – con tanto di inservienti travestiti da diavoli – fino a far esclamare allo spaventato ed esterefatto pontefice, simbolo ancor oggi di un potere ecclesiastico miscredente: “occavolo, ma allora dio, l’inferno… era tutto vero… chi l’avrebbe mai detto!”). Tanto che, sulla sua tomba, volle l’epigrafe: “Qui giace l’Aretin/ poeta tosco/ di tutti parlò mal/ fuorché di Cristo/ scusandosi col dir:/ non lo conosco” . Per dire: “quanto è più sacro al mondo (la figura del Redentore) è stato comunque inessenziale per divertirmi nella vita”
E così, secolo dopo secolo, la beffa toscana arriva fino al Novecento, in cui probabilmente Curzio Malaparte con i suoi “maledetti toscani”, è il massimo esempio di “intellettuale dissidente” rispetto ai vari regimi (soprattutto “culturali”) e alle varie ideologie (soprattutto se a qualche titolo “religiose”).
Probabilmente né Cecco Angiolieri, né Luigi Pulci, né Pietro l’Aretino e nemmeno gli attuali “satiri” di “lercio” e compagnia si sono proposti o si propongono davvero di “sovvertire il sistema” o di cancellarne le regole, ma semplicemente di “beffarlo” di quando in quando: fare (o dire) ciò che “non si può”, ciò che è vietato, ciò che è “cattivo”, ben sapendo che “non si può”, che è vietato dalla legge e condannato dalla morale, proprio solo per il gusto di “rompere le regole”, di “prendersi gioco del sistema”, di mostrare che “io sono io e con un’azione corsara riesco a rompere le uova nel paniera a chiunque”. Questo è il significato della “beffa”: trasgressione allo stato puro, violazione “una tantum” della norma da parte di una “simpatica canaglia” che dopo aver colpito se ne va con un sorriso e una pernacchia.
E’ proprio facendo questo che la beffa riconosce di essere tale (e non qualcosa di più serio come una rivoluzione culturale o politica): nell’aria di scherno e nella soddisfazione per aver “trasgredito” alla regola, alla morale, alla gerarchia, vi è l’implicito riconoscimento che quella regola, quella morale, quelle “gerarchie” (sociali, culturali, politiche, ecc,) sono, appunto “di norma”, valide.
Ecco perché proprio la mossa beffarda e repentina con cui quel tifoso fiorentino ha sfiorato le natiche alla giornalista, ben sapendo (prima che lei lo dicesse) di “non poterlo fare” e scappandosene contento di non essere (così credeva) “beccato”, è non già una “minaccia” al “diritto delle donne di non essere toccate” (come vogliono far credere le femministe), bensì una conferma che quel diritto è riconosciuto come norma, persino dallo stesso trasgressore.
Si tratta dell’esatto opposto di quanto accadde qualche anno fa a capodanno in Germania ad opera degli immigrati mediorientali che palparono in massa le donne occidentali per affermare, implicitamente: “cari cristiani, cari occidentali, ora ci siamo noi, saremo sempre di più e quindi ci prenderemo la vostra terra, le vostre cose e le vostre donne”. Lì sì che “toccare il sedere” non era affatto qualcosa di scherzoso e carnascialesco, ma qualcosa di serio e di mirante a ben di più. “Ti tocco quando e come voglio perché sei una mia proprietà, perché quando dominerà la cultura islamista tu sarai sottoposta alla mia autorità”: quello che le femministe attribuiscono (sbagliando) al goliardo italiano “maschilista” è in realtà il retropensiero di diversi (ovviamente non di tutti) fra quei “migranti” extraeuropei che il mondo intellettuale amico del femminismo vede come “risorse” e come “umanità” da accogliere (e con cui magari “scusarsi per la storia”).
In un caso trasgressione una tantum alla norma, nell’altro caso sostituzione della norma “cavalleresca” con quella “islamica”. Ovviamente, le femministe, che sono affette per definizione da dissonanza cognitiva, condannano l’una e tollerano l’altra.
Concludendo il punto: finché ci sarà chi per scherzo toccherà un sedere, le donne potranno stare tranquille sul fatto che nessuno penserà davvero di avere il diritto di molestarle. Che questa affermazione non sia una fallacia della mia mente amante del paradosso è comprovato da un fatto: il “molestatore” si è scusato pubblicamente, ammettendo, lui per primo, di avere sbagliato.
Cap. 2 – LA VERA QUESTIONE DI QUESTO SECOLO (come si è persa la misura)
Se fin dai cosiddetti “anni bui” del medioevo era consentito scherzare praticamente su tutto (con buona pace del “Nome della Rosa” di Eco e del personaggio di Jorge), paradossalmente, proprio il nuovo secolo così ispirato alla “Scienza”, ai “lumi”, al “superamento delle tradizioni” e financo alla “trasgressione” fine a se stessa, sta introducendo due ambiti “sacri” in cui persino scherzare è davvero vietato. Il primo è il “corpo della donna” (come ci dice l’episodio in oggetto) ed il secondo è la religione islamica (come dimostra la storia di Charlie Hebdo). Evidentemente radicalismo femminista e radicalismo islamico hanno in comune la pretesa di porre le proprie verità morali come assolute, al punto da non accettare non solo le negazioni di principio e le critiche razionali (e parziali), ma neppure gli scherzi! E da reagire (o imporre allo stato di reagire) in maniera assolutamente sproporzionata al “quantum” della “offesa ricevuta”. Vediamo qui qualche tappa del radicalismo che più ci preoccupa (quello femminista, ovviamente).
Negli ultimi anni dello scorso secolo, una sentenza della SC di Cassazione assolveva dall’accusa di violenza sessuale (che il femminismo abbia voluto mettere nel codice penale la pacca sul sedere nello stesso articolo dello “stupro“ la dice lunga sul suo “senso della misura) un uomo reo di aver dato una pacca sul sedere ad una collega. Correttamente, rilevavano gli ermellini, se la pacca è repentina e data per scherzo, senza alcuna valenza sessuale, non può integrare un reato.
Pare la descrizione esatta di quello che ha fatto il tifoso: una toccata (non una palpata) repentina e priva di qualunque intenzione “libidinosa” (dato il contesto, quella toccata non aveva affatto l’aria di essere data per “gratificare un piacere erotico”, né, tantomeno, per essere il “primo passo” di una aggressione a sfondo sessuale).
Eppure le femministe, ora come allora, sono insorte. E credo che se qualcuno scrivesse una sentenza simile oggi, per quanto motivandole razionalmente e circostanziandola doverosamente, sarebbe linciato (peggio che se andasse con le bandiere della Juve nella curva dei tifosi viola). Al femminismo, infatti, non interessa tanto distinguere lo scherzo dal reato, il goliardo dal molestatore, l’intenzione amichevole o appunto goliardica da quella ostile o sessuale, bensì, semplicemente, “sacralizzare” la figura femminile al punto da richiamare su chiunque anche solo per sbaglio la tocchi un fulmine scagliato da un dio vendicatore!
All’inizio di questo maledetto secolo, i siti “femminili” (che io, in preda agli ormoni e al problema dell’incellitudine, di quando in quando lurkavo) erano pieni di racconti di ragazze che si compiacevano di aver “risposto” ad una mano morta (in autobus, in discoteca, a scuola, in strada) con calci nelle palle o simili. Raramente si trattava di vere situazioni di autodifesa da potenziali stupratori. Più spesso si percepiva chiaramente come quello di essere toccate fosse semplicemente il pretesto (a volte pure indirettamente cercato) per potersi “sfogare” contro il genere maschile, per poter “punire” chiunque osasse avere un qualunque approccio con loro non essendo il loro “principe azzurro” (e neanche potendo sapere cosa dovesse dire o fare per essere eventualmente gradito), per poter umiliare pubblicamente chi era da loro attratto ma non aveva possibilità di attrarle.
Ed anche il cinema, la televisione e la pubblicità ostentavano spesso (nell’epoca del “girl power” e della sbandierata “superiorità femminile” all’epoca fatta passare come “scientificamente dimostrata” persino da riviste serie – le stesse che oggi dichiarano il genere sessuale essere solo un costrutto!) il cosiddetto “ballbusting” (e comunque un tipo di “violenza” operata da donne seducenti con “armi” tipicamente femminili) come “atto scenico” per rimarcare la “intrinseca debolezza” del maschio, la sua natura (sessuale e non solo) intimamente “impura” e “colpevole” (non a caso nei film “salta e spara” l’eroina femminile era perennemente bella, buona e inizialmente indifesa e diveniva “Lara Croft” per “difendersi” da un uomo-maschio perennemente brutto, sporco e cattivo), in fondo la sua “inutilità” (innanzitutto estetica e sessuale) in un mondo “progredito” e “sempre più rosa” (simbolo di ciò erano i bellissimi modelli maschi che venivano comunque “in quanto maschi” gettati dall’auto nelle pubblicità della “Breil”).
A me già da allora pareva evidente la sproporzione fra l’offesa e il danno subiti dalla donna “toccata” e la reazione della stessa (con potenzialmente ben più gravi danni e certamente maggiore offesa subiti dall’uomo): dov’erano – mi chiedevo – la minaccia imminente all’incolumità fisica, il danno permanente alla psiche e l’umiliazione bruciante davanti a tutti, che potevano giustificare il prendere a calci nelle palle uno sconosciuto (cafone) che voleva solo fare “il simpatico” (e non aveva certo intenzione di aggredire), un ragazzo che le aveva solo sfiorato le natiche o i fianchi (e non certo avendo in mente di andare oltre, né di scioccarle) in discoteca cedendo a quella stessa debolezza sessuale da loro stesse appena prima sfruttata per moda, vanità e interesse (“osare nel look”, “farli arrapare tutti”, “apparire le più fighe del locale”, per “essere come quelle della tv” ed aumentare il proprio “valore economico-sentimentale”), o un coetaneo che aveva solo (ingenuamente) sbagliato il modo di approcciarle (e veniva così al contempo bollato come “molestatore” e fatto rotolare a terra dal dolore fra le risa degli avventori)?
Alle ragazze interessava non tanto “difendersi” da un “pericolo” che in fondo (nella maggioranza dei casi) non era affatto tale, bensì trovare un’ulteriore occasione per rimarcare e rafforzare il proprio “potere sessuale”, per simboleggiare il loro “diritto” a far vivere nella sempiterna frustrazione del “guardare e non toccare” tutti coloro davanti ai quali mostravano scientemente e perfidamente le loro irraggiungibili grazie (facendoli sentire “puro nulla”, “uomini senza qualità”, “banali scocciatori”), per aggiungere ulteriore tensione emotiva e sofferenza psichica alla gran parte dei loro coetanei, i quali così vedevano passibile di reazione violenta un loro eventuale (e già difficile in sé, per quanto socialmente “obbligatorio”) approccio (“ah questi che non hanno le palle di provarci…”) e sentivano la loro stessa fonte di desiderio (simboleggiata appunto dalle “palle”) come motivo e mezzo per essere offesi nell’intimo, umiliati in pubblico e fatti soffrire massimamente in ogni modo (fisico e mentale) proprio da chi desideravano e proprio perché le desideravano (il massimo del senso di impotenza).
Ed alla TV interessava in fondo crescere una generazione di zerbini complessati (“così non ci provano se non sono abbastanza belli, ricchi e famosi…”) e masochisti (con me ci sono riusciti solo in parte!).
L’autodifesa e la dignità della donna erano scuse in entrambi i casi.
Nel 2007, cioè alla vigilia, in Italia, della svolta giudiziaria del femminismo (che inizierà con il 2008 della prima condanna al carcere “per uno sguardo”, con il 2009 della legge sullo stalking e della carcerazione preventiva per i soli accusati di “violenza” e poi continuare dal 2010 con la campagna moralistica iniziata dalla femministe sinistra per abbattere Berlusconi e proseguita poi da quasi tutte le donne di oggi contro tutti gli uomini…) la “sproporzione” fra azione (mano sul sedere) e reazione invocata (condanna al carcere) era ancora sentita in Italia: la nostra stampa mainstream di allora intitolava scandalizzata (a firma di giornaliste donne!) “in USA ragazzini rischiano 10 anni di carcere per una pacca sul sedere” per un fatto di cronaca dove il “femminismo reale”, rischiava, con le sue “battaglie ideali”, di compromettere la vita di minorenni troppo vivaci (con quella condanna non avrebbero mai più trovato un lavoro).
Oggi probabilmente le giornaliste di Repubblica invocherebbero l’ergastolo. Lo si capisce dal “plauso” con cui accolgono che una pacca sul sedere durata nemmeno 3 decimi di secondo debba costare l’allontanamento per tre anni da ciò che il “colpevole” ama fare di domenica (andare allo stadio). Vi sono diversi ordini di grandezza di sproporzione fra quanto subito dalla giornalista e quanto inflitto come pena sommaria al “colpevole” (e trascuro di parlare di una prossima possibile condanna fino a tre anni di carcere per “violenza sessuale”, seppure per “fattispecie di minore gravità”).
Concludendo il punto: toccare (repentinamente) il sedere è come mostrare il dito medio, è qualcosa di volgare, è qualcosa da non fare, è qualcosa di offensivo, cafone e censurabile, ma è anche qualcosa che può essere frutto di uno scherzo e che comunque può accadere senza alcun oggettivo e rilevante danno per la “vittima”. Sotto quest’ottica dovrebbe essere trattato (fare il dito medio è, in linea di principio, reato, ma se tutti quelli che ci sfanculano con un dito medio dovessero essere perseguiti penalmente…).
Cap. 3 – DOPPIOPESISMO MORALE E GIUDIZIARIO (perché quello che “molesta” noi maschi non è reato?)
Solo un imbecille politicamente corretto può non cogliere la sproporzione della pena (e anche solo della MINACCIA di pena, che è anche peggio) rispetto al fatto in sé. Tale sproporzione viene giustificata agli occhi politicamente corretti del mondo soltanto con la gravità soggettiva rispetto alla sensibilità femminile: tale fatto è infinitamente grave sia perché viola l’oggettività del diritto (che deve essere imparziale, e non assumere una visione soggettiva ed empatica, legate alle infinite sfumature degli animi individuali e non già giungere al paradosso attuale in cui in pratica è la donna sola a stabilire, a proprio capriccio, se ha subito violenza o molestia) sia perché non ha come equo contrappeso un’analoga attenzione “empatica” alla sensibilità maschile, la quale non viene mai presa in considerazione nel giudicare il comportamento delle donne. Nessuno si chiede mai, a fronte di un comportamento maschile, quale sia il simmetrico comportamento delle “tonneh”, o cosa questo provochi nella psiche e nella sensibilità dei coetanei maschi, ma tutti si fermano alla superficie, ossia alla “donna vittima” a all’uomo molestatore, senza indagare la sostanza e i motivi e senza vedere come le molestie, le prepotenze, le tirannie e le violenze delle donne (sempre nella sfera sessuale ed oltre) non siano affatto “inesistenti” o “meno gravi”, ma semplicemente usino mezzi “nascosti” (ma a volte neanche tanto) e psicologici (o, a volte, “psicofisici”).
Chi fa notare l’eccesso di attenzione al caso della giornalista e, in genere, la sproporzione delle attuali condanne per violenze/molestie (in America un nostro connazionale, Carlo Parlanti, ha scontato una condanna di 15 anni senza alcuna prova, in Italia gli amici del figlio di Grillo rischiano una simile pena per “stupro di gruppo” per avere fatto qualche foto ad una tipa ubriaca, mentre una mano morta è già costata un anno di carcere ad un viaggiatore e 12.000 euro di risarcimento ad un datore di lavoro) viene tacciato di “giustificare lo stupro” o di “non rispettare la donna”. Posto che io non giustifico nulla e che comunque qui non stiamo parlando di uno stupro, voglio semplicemente affiancare al rispetto della donna quello per l’uomo.
Se toccare un culo (o un seno) costa anni di carcere (ed oltre diecimila euro di risarcimento: sono queste le cifre di cui si legge sulle cronache), esclamare un complimento qualche mese (secondo le proposte sul “catcalling”), e fare qualche telefonata di invito o complimento (con il cosiddetto “stalking”) fino a 5-6 anni di carcere e diverse decine di migliaia di euro di ammenda, allora il fare le “stronze”, come ormai costume in ogni luogo e tempo, dalla strada alla discoteca, dalla scuola all’età adulta, suscitando ad arte il disio per poi compiacersi della sua negazione, infliggendo, per vanità, capriccio, interesse economico-sentimentale (autostima) o sadico diletto, tensione emotiva, irrisione al disio, umiliazione pubblica e privata, senso di nullità, frustrazione intima, sofferenza fisica e mentale, inappagamento a volte fino all’ossessione e disagio se ripetuto da sessuale ad esistenziale (con rischio di non riuscire più in futuro a sorridere alla vita e al sesso, né di avvicinarsi ad una donna senza vedervi motivo di patimento, tirannia e perdita di ogni residuo interesse per la vita) dovrebbe essere punito con decenni di reclusione e centinaia di migliaia di euro di risarcimento, perché il danno alla psiche è notevolmente maggiore (e va dalla cosiddetta “anoressia sessuale” al suicidio, da una quasi patologica timidezza al farsi avanti con le ragazze alla completa impossibilità futura a sorridere e volere in tema di corteggiamento in particolare e di “amore” in generale, e quindi anche di “vita” in senso pieno, dal precoce bisogno di prostitute ad un disagio psichico ora celato con l’ironia ed ora pronto ad esplodere in eccessi di aggressività). Il fatto che gli uomini, per obbligo culturale a mostrarsi forti e cavalieri e per plagio psicologico femminista (che li dipinge come carnefici anche quando sono vittime) in genere non lo ammettano non significa non esista.
Si sono dati 3 anni di allontanamento dagli stadi al tifoso palpeggiatore? Allora a certe stronzette da discoteca, abituate ad indurre ad arte, con linguaggio verbale o non verbale, con sorrisi, moine, ammiccamenti, con vestimenti, svestimenti e strusciate, o anche solo con “actio in distans” sapientemente predisposta, qualunque malcapitato a farsi avanti per poi trattarlo con sufficienza, maltrattarlo psicologicamente e a volte, con qualche scusa dell’autodifesa, anche fisicamente, farlo sentire un puro nulla, uno fra i tanti, un banale scocciatore, quando non addirittura appellarlo “molesto” (e magari minacciarlo di denuncia o metterlo alla gogna pubblica) dovrebbe essere dato il daspo a vita dai luoghi di ritrovo e divertimento!
Se si vuole la “tolleranza zero” sul reato di “violenza sessuale” così come definito dalle femministe (includente quindi la mano morta), allora si deve istituire un “reato di stronzaggine”, per “punire” anche l’atteggiamento “molesto” insito in quel certo costume femminile (diffuso in ogni modo tempo e luogo) di attirare, per capriccio, moda, vanità o sadico diletto, chi non si è interessate a conoscere ma solo respingere, di sollevare nell’illusione chi si vuole poi far sprofondare con massimo del fragore, dell’irrisione e dell’umiliazione possibili, facendolo sentire un puro nulla davanti a sè e agli altri, di trattare insomma l’uomo come un freddo specchio su cui misurare l’avvenenza o addirittura come un “punching ball” sessuale su cui permettersi di tutto.
Che quanto urta la particolare sensibilità femminile (atti, detti, sguardi o toccate) debba essere considerato offensivo, punito dalla legge e giustificante la vendetta più ampia, crudele, dolorosa e soggettiva da parte della donna e quanto invece ferisce l’altrettanto particolare (e non già inesistente) sensibilità maschile (ad esempio il comportamento intriso di stronzaggine, divenuto regola nelle femmine moderne, anche quando non usano le mani, e spesso motivato da prepotenza, vanagloria, necessità di autostima o sadismo o comunque volontà di provocare sofferenza emotiva) sia trascurabile, non penalmente rilevante, appartenente alla normalità, alla tollerabilità o comunque al “diritto della donna” e non provocante in sé offesa o umiliazione (anche se è quanto l’uomo prova, di fronte a sé o agli altri, quanto sente come intima ferita nella sessualità e può provocargli traumi, blocchi psicologico e metterlo a disagio emotivo, momentaneo e poi esistenziale) è PURO ARBITRIO di questa ginecocrazia plebea.
Tale arbitrio e sciocca credenza, assieme all’opinione falsa che alle donne interessi il sesso “libero” allo stesso modo degli uomini, dà troppe possibilità di divertimento alle “stronze”
Cap. 4 – COSA C’E’ IN GIOCO (perché nemmeno per noi quella mano sul sedere è solo uno scherzo)
In gioco qui per noi non c’è tanto la possibilità di toccare culi in diretta tv, ma l’uguaglianza davanti alla legge e, quindi, lo stato di diritto.
Se non invertiamo la tendenza, l’uguaglianza intesa dal femminismo, dai giudici e dai media mainstream è questa: qualsiasi accusa, anche solo minimamente afferente al sesso diviene nell’inconscio collettivo di giudici, poliziotti e media identificata con la colpa più grave immaginabile, anche quando nulla ha a che fare con quanto ogni mondo civile ha in ogni tempo definito e punito come stupro. Ecco che così non esiste più non solo una presunzione di innocenza (in questo caso c’è la prova televisiva ma pensate che in assenza di essa qualcuno avrebbe avuto problemi ad accettare come “fonte di prova” la sola parola della donna?), ma nemmeno, per i colpevoli, una pena proporzionata all’effettiva ed oggettiva gravità della colpa. Qualsiasi minimo o presunto ferimento alla soggettiva sensibilità femminile nella sfera sessuale è considerato crimine massimo da punire nella maniera più ampia, dolorosa e umiliante possibile (e senza possibilità di normale difesa), mentre ferimenti anche più gravi alla diversa e non già inesistente sensibilità maschile vengono passati come trascurabile banalità, divertente normalità o addirittura diritto della donna. Toccare un sedere costa anni di carcere, mentre “toccare” in maniera molto più dolorosa, frustrante, e provocante ferimento emotivo, irrisione profonda, umiliazione pubblica e privata, sofferenza fisica e mentale, disagio da sessuale ad esistenziale il corpo o la psiche maschili (facendo ad esempi ripetutamente le stronze nella maniera che ho definito mille volte e che tutti, interessate comprese, sanno per vera) è addirittura divenuto stile pubblicitario o hollywoodiano. Cercare disperatamente di ristabilire un contatto con chi, nonostante tutto, è ancora la madre dei suoi figli, può costare al marito una condanna decennale, mentre ridurre la sua vita quella di un esule ottocentesco privato di casa, famiglia, roba, beni materiali e morali, figli, interesse per la vita e residue speranze di felicità non costa nulla alla ex-moglie (anzi fa guadagnare molto). Cercare di ottenere un rapporto sessuale in una maniera per la quale la demagogia femminista ha anche solo un minimo dubbio di consensualità (uso di alcool, corteggiamento insistente, promesse di favori lavorativi, atteggiamento da conquistatore ecc.) è considerato tanto grave da giustificare almeno dieci anni di carcere (anche quando i presunti danni alla presunta vittima, quando esistono, spariscono dopo la prima tinozza d’acqua bollente o vengono dimenticati dopo un congruo risarcimento) e provocare intenzionalmente ad un uomo danni ben più gravi e ben più certi, violenze fisiche e mentali nella sfera sessuale (come ballbusting pretestuoso o la stronzaggine del suscitare ad arte il disio e poi compiacersi della sua negazione e di come essa, resa massimamente dolorosa, umiliante e beffarda possibile da una studiata perfidia e da una premeditata e sperimentata tecnica, possa far patire all’uomo le pene fisiche e mentali dell’inferno della privazione dopo le promesse del paradiso della concessione, farlo sentire una nullità, ferirlo emotivamente, renderlo ridicolo davani a sè e agli altri, umiliarlo in pubblico e in privato, provocargli irrisione al disio, sofferenza fisica e mentale, inappagamento fino all’ossessione e disagio da sessuale ad esistenziale), o addirittura – e i casi famosi di cronaca nera non sono mancati – mutilazioni, devastazioni del corpo o della psiche tali da impedire di vivere ancora felicemente il sesso, vengono trattati come follie momentanee da curare con qualche mese di clinica (del resto manco le madri infanticide vanno davvero in galera in occidente). Differenze di reddito fra i due sessi dovute a differenti scelte di studio e di vita vengono presentate come “gender gap” (anziché come conseguenze delle diverse predisposizioni naturali, delle diverse esigenze e del naturale privilegio femminile di non dover per forza guadagnare tot euro per essere “desiderabili sessualmente”) e messe in prima pagina, mentre la spoliazione di ogni ricchezza materiale e sentimentale, legalizzata come divorzio e mantenimento, la confisca dei beni e privazione dei figli con qualche denuncia enfatizzata ad arte, la distruzione con metodi femminili della famiglia e di ogni affetto privato e di ogni rispettabilità sociale, e addirittura gli omicidi (“uccide il padre/marito ma viene assolta perché…”), vengono messi in un trafiletto e considerati “cose che capitano”.
Tutti hanno avuto sotto gli occhi questa deriva negli ultimi vent’anni e nessuno (tranne qualche MRA) ha fatto/detto nulla. Preferendo, per quieto vivere, accettare che, ad ogni denuncia di molestia, ad ogni levata di scudi delle femministe, ad ogni nuova direttiva sulla parità di genere, la “finestra di Overton” si spostasse sempre più in là. Sempre più verso l’assurdo, l’iniquità, la follia. Serviva uno stop brutale di questa tendenza. Uno stop che vent’anni di “coscienza maschile”, di siti MRA, di blog antifemministi non sono stati capaci di dare. A volte un gesto simbolico può molto di più di tanti ragionamenti. Involontariamente, quel tifoso dell’Empoli, sfidando il femminismo in uno dei suoi reati-simbolo, ha mostrato di avere più personalità, fegato e pure intelligenza di tutta la classe di intellettuali (da Gramellini in giù) pronti a dannare e condannare la propria natura maschile pur di zerbinarsi alle donne e di genuflettersi al verbo progressista. Lui, almeno, con quel gesto beffardo e spontaneo, ha mostrato di non essere falso nell’istinto. E ciò, come ci insegna Nietzsche, è il primo requisito per affrontare ogni problema di fondo dell’esistenza.
-Il Sultano di Costantinopoli-
Ottimo articolo e ben scritto, si vede che l’ autore è una persona di cultura.
Leggo da più di un anno il blog del Redpillatore con molta curiosità e devo ammettere che apprezzo gli articoli dell’ autore e dei lettori.
Il problema del femminismo (il Redpillatore sembra aver già scritto degli articoli al riguardo) è secondo me legato alla modernità, e non credo che sia l’ unica stortura.
Pensiamo solo ai “fondamentalisti” vegani, ai vari movimenti “green”, agli animalisti che considerano violenta persino la pesca sportiva, e se approfondiamo l’ argomento, potremmo aggiungere anche i transumanisti, gente che crede e spera nella modificazione dell’ essere umano tramite la tecnologia.
Diciamocelo chiaramente, queste correnti di pensiero emotive e irrazionali avrebbero difficoltà ad espandere nei cosiddetti paesi del terzo mondo o anche del secondo mondo.
Potrebbe ad esempio l’ ideologia green prendere piede in Africa, nel Sud-Est asiatico o persino in Cina? Assolutamente no!
Questo perchè non se lo potrebbero permettere in una società povera che cerca disperatamente il progresso e la ricchezza. Il movimento green gli “azzopperebbe le gambe” (basta vedere la continua crescita delle centrali a carbone in Cina).
Un movimento del genere attecchisce invece nei paesi ricchi e moderni, che possono permettersi di “spaccare il capello in quattro” e migliorare quindi la condizione ambietale, animale e femminile senza curarsi troppo delle contraddizioni.
La società moderna occidentale, ma anche orientale (pensiamo agli hikikomori giapponesi o al pietoso tasso di fertilità sud coreano) ha generato un benessere tale che la popolazione si è completamente infantilizzata. Non poteva essere diversamente d’altronde, vivere nel lusso senza fatica non poteva portare ad un conclusione diversa. Le fatiche sono malviste, mentre la bella vita viene pubblicizzata ovunque.
Poco importa se la popolazione decresce per via dei bassi tassi di fertilità o se bisogna importare dei disgraziati per lavorare le strade o fare il muratore, o se il signor Rossi, per mantenere il suo status sociale, deve abusare di prestiti, rate e debiti.
Una società di questo tipo non solo è poco resiliente, ma anche vicina al collasso come la recente isteria di massa sul covid19 ha dimostrato.
[1] Tasso di fertilità Corea del Sud
https://en.wikipedia.org/wiki/Low_birth_rate_in_South_Korea
E’ un tema raramente discusso in maniera seria e ordinata, quello della provocazione volontaria, della subdola tortura psicologica, della negazione volontaria e premeditata di qualcosa che si sa che qualcuno vorrebbe avere, dopo avergli volontariamente prospettato la (illusoria) possibilità di averlo. Purtroppo il più delle volte non si prende in considerazione questa subdola forma di violenza, è difficile dimostrare che abbia avuto luogo, è difficile essere presi seriamente quando si dice che fa male.
Alcuni casi noti esistono, in altri ambiti. Tempo fa, aveva fatto scalpore il caso di un ragazzo di una importante università anglosassone, una di quelle in cui, a meno di non avere una borsa di studio, se non sei ricco non entri, che aveva tirato fuori e bruciato davanti ad un senzatetto una banconota, per il puro gusto di farlo soffrire a livello psicologico. Qui la fonte che narra la vicenda. Si potrebbe obiettare che il ragazzo non ha rubato nulla al senzatetto, e sarebbe vero, così come le ragazze che lanciano messaggi ammiccanti ad un ragazzo, anche se non hanno intenzione di farci nulla, non stiano commettendo un reato, privando il ragazzo di qualcosa che gli appartiene. Si potrebbe obiettare che il ragazzo con i suoi soldi, nei limiti della legalità, poteva farci quello che voleva, così come le ragazze, con il loro corpo ed il loro tempo, nei limiti della legalità, possono farci quello che vogliono. Ma rimane difficile non pensare che il ragazzo sia un vero stronzo, a livello umano.
Purtroppo le donne che amano mettere in atto simili comportamenti giocano in delle zone che sono grigie non solo a livello legale, ma proprio a livello pratico, si attaccano alle ambiguità, al detto e non detto, al linguaggio non verbale, in maniera tale che si possa instillare una speranza in qualcuno, potendo tranquillamente negare che ci sia mai stata quella intenzione, potendo affermare, senza mentire, che non si era promesso nulla, che non si era detto nulla di esplicito, sostenendo che l’altro abbia frainteso dei gesti e delle parole innocenti, o, per usare delle frasi che alle ragazze piacciono tanto, si sia “fatto i film”, abbia “fatto tutto da solo”. Chiaramente possono anche esserci dei casi in cui veramente un ragazzo fa tutto da solo, o quasi, ma pensare che corrispondano alla totalità mi sembra un po’ da scemi. Ma vai a dimostrare che i suoi segnali ambigui erano ambigui di proposito, e che il suo intento era quello di fare promesse che non era minimamente intenzionata a mantenere. Buona fortuna.
Una soluzione? Purtroppo non credo ci sia una soluzione che possa portare ad una minore messa in atto di tali comportamenti, visto anche che non solo non vengono praticamente mai sanzionati, ma sono proprio difficili da dimostrare, specie se ad argomentare è un cattivo maschio che ovviamente crede che tutto gli sia dovuto e quindi è ovvio che “si è fatto i film”. Ma, se si vuole creare frustrazione dall’altra parte, evitando allo stesso tempo di mettersi in brutte situazioni, un’arma c’è. L’indifferenza. Scrivo non solo da ragazzo, ma anche da creator, da blogger, e da artista, vi assicuro che non c’è nulla di peggio della totale indifferenza, quando si pubblica un qualcosa che non ha nessun riscontro. E’ peggio dei riscontri negativi, perché comunque con quelli si viene degnati perlomeno di un feed back che da’ l’idea che gli altri si siano comunque accorti della nostra esistenza. Il numero di visualizzazioni bassissimo. Il numero di like, dislike o commenti inesistente, rispetto al numero delle visualizzazioni, che da’ l’idea che quei pochi che sono passati comunque non hanno ritenuto di curarsi minimamente di noi, quasi fossimo trasparenti, quasi fossero passati lì solo per sbaglio, questo fa male. Si vuole far soffrire una stronzetta con comportamenti e, presumo, tratti di personalita’ istrionici, narcisisti e di “attention craving”? Facile, basta ignorarla. E’ spettacolare vedere quanto rosica una che crede di essere una dea quando viene ignorata.
A me questo episodio della giornalista sembra l’ennesima sfida a quello che rimane della cultura maschile da “spogliatoio” o da “caserma”.
Fateci caso….ci hanno levato le barzellette, i film di lino banfi, le battute pecorecce, in TV c’è signorini che decide cosa è lecito e cosa no e per esempio se uno si lascia andare a certi commenti da bar di periferia (tipo Salvo del grande fratello o Clemente russo) è fuori.
Il calcio è uno degli ultimi avamposti di come eravamo 30 anni fa e mandano gente tipo la Leotta o quest’altra giornalista emergente per entrare in contatto con gli ultrà della curva e vedere cosa succede, per poi indignarsi profondamente per l’eccessiva goliardia del tifoso.
Tutto sommato una interpretazione interessante, la pacca sul culo come sfida beffarda al femminismo.
Rimane da vedere chi vince nel lungo termine.
Da una parte gesti consolanti come le 70 donne che stanno organizzando una cena in difesa di Serrani (che per me , beninteso, rimane comunque un calciocornuto e minus habens, dubito che avesse intenzioni rivoluzionarie nella cretinaggine del suo gesto).
Oppure lo sputtanamento benefico della foto con il ributtante Moggi che posa la sua mano sul culo della Beccaglia senza che nessuno (lei e gli astanti) abbia mai avuto da ridire.
Dall’altra, abbiamo legge femminista, associazioni, gran cavalieri che proteggono le proprie cortigiane come si proteggono le proprie greggi, e una massa di femmine (chiamarle donne è eccessivo) inviperite e assetate di sangue.
Avete mai visto uno che deve cambiare città per avere tastato il culo ad una per 3 decimi di secondo? Io no.
Se è vero che anni di MRA non sono serviti a fermare l’ondata femminista, è altrettanto vero che sento sempre più lamentele maschili e un poco meno zerbinaggio. Questo è l’unico dato positivo.
Di fronte a tanta follia, per me (dico per me) occorre vivere con un misto di filosofia MGTOW , di ipogamia prudente, e di dandysmo esistenziale.
In quanto non vi è certezza che questa follia diminuisca, ma proprio per niente.
“Trovo che amara più della morte è la donna, la quale è tutta lacci: una rete il suo cuore, catene le sue braccia. Chi è gradito a Dio la sfugge ma il peccatore ne resta preso” (Ecclesiaste 7,26)
Potenti questi articoli e riflessioni Red, a partire dalle premesse storiche fino all’attualità e fino alle ultime righe di conclusione, top!
Faccio due riflessioni veloci e opposte
1. Se per scherzo qualcuno toccasse il sedere alla mia ragazza, gli spezzerei il braccio. E credo che come io lo scriva tutti al momento di una loro relazione lo pensano allo stesso modo
2. Sono stato vittima di una pazza misandrica che usava la scusa del “femminismo” per non essere criricata. Una troia pesante che ha un figlio ma nessuno sa chi è il padre. Una che nonostante sia mamma single salta comunque da fagiano a fagiano con 0 intenzione di trovare un partner serio. Mi prese in antipatia al test d’ingresso in Uni. Me la sono sopportata per tutto il mio curriculum, finché non si è laureata. Odia il figlio perché uomo. Mi ha calunniato sul web, mi ha fatto mobbing dal vivo, mi ha tormentato per anni. Ho provato a denunciarla al consiglio docenti, al rettore, ai giornali ma sono un uomo e Red dice bene, le donne devono passare sempre per vittime innocenti pure se sono le carnefici
“…sfidando il femminismo in uno dei suoi reati-simbolo, ha mostrato di avere più personalità, fegato e pure intelligenza di …”
Sbagliato. Quello sciagurato non ha sfidato nulla anche perché verosimilmente non sa nulla né di femminismo, né di doppio standard, né di politicamente corretto né di altro. Mai vista la pillola rossa, lui. Ha confermato la tesi femminista dell’esistenza universale dei porci-maski-sciovinisti, ha portato il suo bel litro di benzina ai panzer delle Ariane. Certo, un litro in più non cambia nulla, ma vedere i blupillati in azione fa sempre inorridire. Adesso speriamo che venga punito duramente, solo così capirà qualcosa (forse) e insieme a lui qualche altro dormiente. Una legnata oggi, una domani, alla fine del millennio, forse…
Articolo discreto anche se un pó pomposo ed eccentrico (e col nickname “sultano di costantinopoli” non mi aspettavo altro).
Mi permetto alcune precisazioni:
1) Il tifoso è della Fiorentina, non dell’Empoli, ma tant’è. Da notare tuttavia che è di Ancona, non toscano di origine quindi ergerlo a tipico esempio di goliardo toscano (forse) non è propriamente corretto.
2) Cecco Angiolieri è nato, cresciuto e ha sviluppato la sua opera a Siena, ben diversa socio-culturalmente da quella Firenze con cui è stata in guerra per secoli. Pertanto il suo attacco all’”establishment culturale” stilnovista fiorentino potrebbe non essere del tutto azzeccato. Cecco alla fine fu un buon poeta ma nella vita un totale anarchico: dedito ai vizi e al gioco, amava la sua vita scanzonata che cantó nelle poesie e morì sopraffatto dai debiti dopo aver distrutto il patrimonio di famiglia, che era una delle più potenti e in vista della Siena dell’epoca. Quindi era lui stesso esponente di quell’elite sociale, economica e anche culturale contro la quale apparentemente si ribellò, non solo nelle opere, e che caoticamente mal tollerava, insieme a tutto il resto, sfogando questa insofferenza verso il tutto nello stile giocoso e irriverente dei suoi scritti. Guelfo di nascita, combattè contro i suoi stessi concittadini nelle guerre tra guelfi e ghibellini, e questo la dice lunga…
3) Dante e altri stilnovisti che da una parte angelicavano la donna CONTEMPORANEAMENTE scrivevano sonetti allegri e divertiti con stile e contenuti diametralmente opposti e rovesciati (soprattutto su temi “amorosi” che quindi diventano temi sessuali), inventando di fatto lo stile “ironico” nella letteratura italiana (difatti l’ironia è definita proprio con il rovesciamento di alcuni valori e situazioni usuali). Famosa è ad esempio quella poesia con cui Dante percula un amico e collega sottintendendo a ogni verso il fatto che questo poeta (di cui adesso mi sfugge il nome) abbia il pisello piccolo incapace di soddisfare la moglie. Cioè i “bluepillati” stilnovisti erano gli stessi redpillati che si prendevano gioco di loro stessi e del loro stile angelico. Forse il tutto proprio in sintonia con quella frase che dice l’autore cioè che nel medioevo così dominato dagli autoritarismi e moralismi religiosi per contrapposizione sorsero gli stili e le opere volte a sovvertire questa tendenza e a scherzare su tutto (i goliardi appunto) e che se vogliamo possiamo far risalire addirittura alla commedia teatrale classica da Plauto in poi. Mentre adesso che tutto ruota intorno a scienza e tecnologia diventa impossibile sherzare su certi temi (il sottoscritto in particolare nel corso della vita ha perso importanti amicizie, femminili ovvio ma non solo, proprio per la sua irrefrenabile voglia di esprimersi sempre tra il serio e il faceto e di non prendersi mai troppo sul serio).
In ogni modo articolo pieno di riflessioni interessanti.
Decisamente uno dei migliori articoli mascolinisti di questi ultimi anni. Messo tra i preferiti. Grazie.
Ora le cronache ci riportano ancora con troppa e ferocia insistenza l’ultimo episodio di pacca sul sedere eseguito dal cantate Memo Remigi.
Questo vecchietto ha dato una pacca sul sedere a una cantante che le era vicina. Questa è riuscita ad affrontare l’episodio respingendo la sua manata elo stesso cantante è stato giustamente allontanato.
Mi sembra che la vicenda sia stata già tutta a suo tempo risolta.
Mi sembrano proprio inopportuno l’eco di cronaca che è venuto fuori.
Commenti di donne che parlano di parte lesa, di conseguenze psicologiche ecc.
C’è l’amplificazione mediatica per creare ascolti e beccare click che si appoggia su moralismi superficiali.
certo ora conosciamo tutti quella cantante…