Il Redpillatore mi ha proposto di scrivere la mia storia. Dato che parlare di me è una delle cose che amo di più, ho accettato e ora vi beccate ‘sto mattone che manco “Guerra e Pace”.
LE ORIGINI DEL MA(H)LE(R)
Partiamo dalla caratteristica che più d’ogni altra sintetizza la mia presenza nei circuiti redpill: ho dato il primo bacio a una ragazza quando avevo 25 anni, cioè dopo aver preso la patente, essermi diplomato e laureato, aver iniziato a lavorare, e in sostanza aver fatto tutta una serie di esperienze decisamente più adulte che appoggiare le labbra a quelle d’un altro essere umano. Ho persino perso i capelli prima di perdere la verginità!
Insomma, a 25 anni ero un kissless virgin, un incel della peggior specie. Perché lo ero? La mia infanzia è stata costellata da una serie di sfortune, alcune comuni, altre decisamente peculiari.
Quando ero bambino passavo moltissimo tempo con mio nonno paterno, una persona dotata di grande cultura, unico musicista in famiglia, appassionato di fotografia e letteratura. Eravamo veramente legati, e ritengo di assomigliargli moltissimo. Morì anzitempo prima che io compissi sei anni. Credo che il senso di abbandono e dipendenza che provo sia nato con la sua scomparsa, ma chi può dirlo con certezza? Di sicuro ho continuato a fantasticare sul suo ritorno per molto tempo, anche dopo aver metabolizzato il significato della morte.
NON E’ VITA SOTTO IL SETTE, MA NEMMENO NELLE SETTE
Mia mamma è stata certamente la mia più grande sfortuna. Non saprei dire come si sia presa cura di me nei primissimi anni di vita, ma temo non molto bene. È una persona carente di equilibrio, forse anche lei vittima di dinamiche familiari disfunzionali. Si affiliò ai testimoni di Geova e trascinò anche me, bambino inconsapevole, mentre mio padre non poté fare nulla perché fu messo fuori gioco da false accuse di violenza e finì col separarsi, salvo poi tornare un paio d’anni dopo per limitare il più possibile i danni
Immaginate che meraviglia per un bambino far parte di quella congrega di pazzi: vietato festeggiare i compleanni, sia i propri che quelli degli amici; vietato festeggiare Natale, Pasqua, Carnevale; obbligo di studiare costantemente la Bibbia e le altre pubblicazioni della setta; obbligo di presenziare alle adunanze (l’equivalente delle messe) tre volte a settimana, compresa la domenica pomeriggio; vietati persino gli sport agonistici e la realizzazione di disegni religiosi in classe, così da far sentire il bambino un diverso e un emarginato in mezzo ai suoi pari. E naturalmente accompagnare gli adulti di casa in casa per rompere le scatole alle altre persone e farsi ridere dietro e disprezzare.
A complicare la situazione, mia nonna era stata cacciata dai testimoni di Geova e pertanto doveva essere ostracizzata dal resto della famiglia nonostante vivesse al piano sotto al nostro. Io avevo con lei un bel rapporto, ma dovevo vederla di nascosto e ricordo ancora il senso di angoscia quando mi trovavo nel suo appartamento e sentivo mia mamma rincasare in anticipo, non sapendo se scappare di sopra prima che mi vedesse – deludendo mia nonna – oppure affrontare il rabbioso sdegno di mia madre.
Riuscite a immaginare i danni che una situazione del genere può produrre nella psiche di un bambino?
Abbandonai di mia volontà i testimoni quando ero in seconda media, contemporaneamente distaccandomi emotivamente da mia madre, ma ormai il danno era fatto; per molti anni mi è stato impossibile scrivere o pronunciare la parola “Geova”, o persino udirla da altri o in televisione, senza provare un profondo senso di vergogna.
Anche senza Geova e i suoi testimoni, mia madre riuscì a portare avanti l’opera di distruzione della mia autostima e della mia serenità adolescenziale con atteggiamenti familiari fortemente conflittuali e continui litigi con mio padre che sfociavano nella violenza più grottesca.
BAD STATUS DELLE QUATTRO PARETI
Quanto appena descritto era amplificato da un’altra “sfortuna”: vivere in un piccolo comune di montagna dove tutti si conoscono e dove uno status negativo può compromettere la reputazione per sempre. Ho usato le virgolette perché in realtà amo il posto dove vivo e non vorrei vivere da nessun’altra parte, ma è innegabile che, fossi vissuto in città, avrei potuto affrancarmi più facilmente dal mio passato perché mi sarei imbattuto in persone senza un’opinione preconcetta di me, e sarei cresciuto senza quel senso di inferiorità che mi attanagliava ogni volta che incrociavo una ragazza domandandomi cosa sapesse della mia vita.
Non pensate però a me come a un completo emarginato: avevo pochi amici, ma tutti ottimi, e lo sono tuttora dopo molti anni; uscivo spesso, anche se crescendo ho sviluppato un atteggiamento via via più disilluso e depresso che mi ha portato a negarmi esperienze che adesso rimpiango (come passare il capodanno del 1999 in casa coi genitori anziché in qualche piazza europea); ho subito qualche episodio di bullismo alle medie, ma niente di tragico, e alle superiori godevo del rispetto dei miei compagni di classe; suonavo in un gruppo e ci esibivamo dal vivo con una buona risposta da parte del pubblico.
Q.I. QUOZIENTE DI INCELLISMO
Sono una persona molto riflessiva, introversa, portata al pensiero, all’introspezione e alla razionalità. Se siete appassionati di tipi psicologici, sono un INTP. Chiunque abbia una personalità simile potrà confermarvi quanto questa non aiuti ad affrontare le relazioni sociali durante l’adolescenza. Ciononostante non definirò mai questa caratteristica una sfortuna, nemmeno con tutte le virgolette del mondo: amo ciò che sono internamente a dispetto di tutto l’odio di me stesso che mi è stato instillato fin da quando ero bambino, e considero la mia intelligenza l’unica ragione per cui sono sopravvissuto.
Ho una frattura mentale che trovo molto compatibile col disturbo narcisistico di personalità: da un lato sono sinceramente orgoglioso di me, tanto da sfiorare l’arroganza e in certi casi oltrepassarla, dall’altro sono altrettanto sinceramente il mio peggior detrattore, costantemente tormentato dalla vergogna.
Mi sento contemporaneamente superiore e inferiore agli altri, ma mai come gli altri; affascinante, no? A volte credo che l’attrito tra questi due poli inconciliabili abbia prodotto una sorta di mediazione: un personaggio vincente ma fasullo mandato a confrontarsi col mondo al posto mio, una specie di armatura che protegge la mia fragilità. La cosa pazzesca è che col tempo, grazie alla maturazione e ai successi professionali, sono diventato realmente simile a quel personaggio. Paradossalmente recito la parte di me stesso.
E BRUCE WILLIS ALLORA?
Finora non ho parlato di estetica, e ciò sembrerà strano a chi ha associato gli incel al motto “sotto il 7 non è vita”. La verità è che non sono brutto, e non credo di esserlo stato nemmeno da giovane. Semmai ero trascurato e abbandonato a me stesso, senza nessuno di fidato che mi dicesse: cambia pettinatura, vestiti un po’ meglio, pompa quei muscoli, fai questo, fai quest’altro.
La mia più grande sfortuna estetica – la ciliegina sulla torta arrivata proprio quando avevo l’età giusta per cercare un riscatto – è stata quella di perdere i capelli in maniera aggressiva a 20 anni. La “fortuna nella sfortuna” è quella di avere un cranio che regge bene la calvizie, ma andatelo a raccontare a un ventenne!
Il trauma della calvizie precoce consiste nel veder deperire profondamente il proprio aspetto senza poterci fare nulla, oltretutto in quella parte del corpo che usiamo come biglietto da visita e che non possiamo coprire: il viso. Il colpo di grazia per un uomo con un’autostima già compromessa.
TUTTI I MIEI DUE DI PICCHE
Un kissless virgin adulto non è soltanto un vergine che non ha mai baciato. È un uomo a cui nessuna donna ha mai detto “ti amo”, che non ha mai avuto il viso di una ragazza a pochi millimetri dal suo, che non è mai stato speciale per nessuna né ha mai potuto definire “mia” un’altra persona, fosse anche per un solo giorno. La società lo ha lasciato fuori dalla porta non facendogli vivere una banale esperienza apparentemente alla portata di chiunque, e questo lo fa dubitare del proprio valore. Siamo esseri umani e non infiliamo la lingua dappertutto, perché non è igienico. Ecco, passati molti anni un kissless virgin potrebbe legittimamente supporre che la sua bocca non sia un posto igienico dove infilare una lingua, e conseguentemente allarmarsi per la propria.
Bene, avevo 25 anni compiuti e non avevo ancora dato un misero bacio. Certamente non perché la cosa non mi interessasse: le ragazze erano da anni un argomento di conversazione costante con gli amici. Ricordo di avere avuto un primo interesse concreto già in prima media, fantasticando sul farlo sapere a lei tramite un bigliettino nello zaino; in seconda media chiedevo consigli al mio compagno di banco su come dichiararmi a una coetanea che mi piaceva; in seconda superiore ero cotto di una ragazza di un anno più giovane, compagna di classe di un amico che assillavo chiedendo di lei costantemente. L’autostima precaria però spegneva ogni azione accesa dai miei desideri.
Quando ero in prima superiore, seppur spinto più dagli amici che da un sincero ardore, feci organizzare a un amico comune un incontro con una ragazza molto carina per proporle di metterci insieme. Fu la prima volta che ci provai con una ragazza e una delle esperienze più imbarazzanti della mia vita: non spiccicai parola restando muto davanti a lei per quelli che sembrarono minuti interminabili, mentre i miei amici e le sue amiche ci osservavano in disparte e io con la coda dell’occhio osservavo loro; quando finalmente decisi che l’ordalia doveva terminare, me ne uscii con un poco convinto “ti vuoi mettere con me?” al quale lei replicò fin troppo gentilmente con “sto già insieme a un altro”.
Quell’esperienza mortificante mi frenò dal dare repliche, e infatti non ci provai con nessun’altra fino al terzo anno di università, quando mi innamorai di un’amica. Dopo mesi di struggimento e timidi corteggiamenti trovai il coraggio di organizzare un incontro e mi dichiarai in camera sua: stavolta le parole fluirono copiose – pure troppo! – ma in maniera veramente confusa. Credevo ancora di dover descrivere i sentimenti imbrigliandoli nelle parole, anziché lasciarmi guidare da essi. Dovevo giustificare perché provassi determinate cose, spiegando razionalmente che, sì, magari meritavo anch’io la considerazione di una ragazza, ma senza troppa convinzione dato che ero il primo a non esserne pienamente convinto. Non successe niente. Tornai a casa con un misto di gioia per essere riuscito nell’impresa e tristezza perché di fatto non era cambiato nulla. Non mi aveva nemmeno esplicitamente rifiutato: aveva preso atto di quanto le avevo detto, ed era finita lì. L’errore atroce fu dichiararmi nuovamente a lei circa un anno dopo, di nuovo in camera sua, di nuovo parole parole parole, di nuovo quella sensazione d’essere fuori posto. Di nuovo non successe niente, ma stavolta ero risultato più ridicolo, e seppi in seguito che lei se ne lamentò con gli amici comuni, descrivendomi come un maniaco. Mi arrabbiai ma, ripensandoci adesso, come biasimarla?
Queste tre esperienze rappresentano l’intero curriculum dei miei approcci alle ragazze prima dei 25 anni. Un po’ poco per dichiararmi un incel vittima dell’universo. Potessi tornare indietro farei molto di più, ma chi adesso lo afferma non è più quel ragazzo. Quel ragazzo aspettava che l’universo gli portasse qualcosa anziché essere lui ad andarla a prendere, e nemmeno la delusione lo smuoveva.
Caspita, ho molte cose in comune con il giovane Mahler, sia nella realtà in cui viveva, sia nei tanti pensieri, che sembrano usciti dalla tastiera del mio smartphone.
Vedere frasi così vicine a me scritte da un altro fa davvero effetto.
Bellissima storia, quando arriva la seconda parte?