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LE ORIGINI DEL MA(H)LE(R) – PARTE 2

La seconda puntata della mini-biografia redpillata di Mahler. Se hai perso la prima parte corri a leggerla al link qui sotto.


IL PRIMO BACIO

 Eppure alla fine l’universo mi portò qualcosa. Avevo 25 anni e avevo dei capelli ridicoli: mi ostinavo a portarli lunghi nonostante fosse evidente che alla sommità i follicoli avevano combattuto una tremenda battaglia col DHT (un derivato del testosterone: noi calvi diveniamo nostro malgrado esperti endocrinologi) venendo miseramente sconfitti. La guerra sarebbe stata definitivamente persa di lì a poco, lasciando una landa desolata e infertile degna d’un bombardamento nucleare. Da pochi mesi ero entrato nel club dei lavoratori dipendenti, avendo così iniziato a guadagnare i primi soldi; l’azienda si trovava a mezz’ora d’auto da casa mia e vi lavoravano alcuni amici ex compagni di scuola. Era passata la primavera, la stagione del risveglio dei sensi, ed era giunta l’ennesima estate, l’ennesima alba che illuminava la mia immarcescibile verginità. 

Non mi ero arreso, ma non speravo più in niente.

Con questo stato d’animo mi ritrovai a frequentare in amicizia una diciottenne che in estate veniva dalle mie parti per trovare la nonna. Non era stata una mia iniziativa: la madre di lei mi aveva chiesto il favore di farlo, dato che la figlia non brillava per socievolezza e non conosceva nessuno. La portai con me diverse volte coinvolgendola nelle uscite coi miei amici, finché iniziammo a rimanere sempre più spesso soli. Una sera eravamo in un campo a vedere le stelle cadenti e facendoci reciprocamente il solletico accarezzai per la prima volta la gamba di una ragazza (wow!). Non ci baciammo anche se sarebbe stato naturale farlo, ma è quella la sera che ricordo con più gioia, fatta di momenti così magicamente innocenti che – da profano – associo alle sensazioni che sarebbe stato giusto sperimentare da adolescente. Credo di essermi innamorato di lei quella sera.

 La sera successiva eravamo in giro in macchina ed era evidente che dovesse succedere qualcosa. L’avevo capito persino io nonostante il simpatico omino che vive nel mio cervello continuasse a ripetermi sghignazzando: “ahah, non dire cazzate, tu non piaci a nessuna, nessuna!” L’avevo capito ma non avevo idea di cosa fare: i pensieri ansiosi come sempre bloccavano le mie azioni. Eravamo parcheggiati in una piazzola isolata; a un certo punto lei, evidentemente frustrata dal mio immobilismo, tese una mano e tirò giù la zip del cardigan che indossavo; ma niente, nemmeno quello riuscì a smuovermi: il semaforo era verde, le macchine dietro strombazzavano innervosite, e io ero nel panico col motore spento. Tirai su la zip, riaccesi il motore e guidai ancora un po’, per poi fermarmi in un altro parcheggio semideserto. 

 Parlavamo e io ero disteso con la testa sulle sue gambe mentre mentalmente mi incitavo: fallo, fallo, fallo. E accadde. Incredibilmente detti retta a me stesso, mi sollevai, e la baciai. Ricordo ancora benissimo la sensazione di lei che rispondeva al mio bacio, la sua lingua che mi entrava in bocca e toccava la mia danzando delicatamente nel palato. Non mi addentrerò in ulteriori dettagli per rispetto di lei. Vi basti sapere che in quella sessione di scuole serali mi misi in pari facendo un corso intensivo. Troppo intenso: la mattina seguente ero talmente stravolto che per poco non feci un frontale andando a lavoro!

 La cosa strana è che non ero sopraffatto dalla felicità; anzi, dentro di me albergava un misto di sensazioni positive e negative: eccitazione, senso di colpa, inadeguatezza, gioiosa incredulità, ansia per il futuro. Fortunatamente i sentimenti negativi svanirono nel giro di poche ore, lasciando solamente un gran desiderio di rivederla per continuare a esplorare il suo corpo di donna. 

UN ADULTO FIDANZATINO 

Continuammo a vederci quotidianamente, poi lei andò alcuni giorni al mare con le amiche come da programma, quindi tornò di nuovo nel mio paese. In quel breve periodo di separazione e attesa mi ero innamorato ancora di più, tant’è che quando la rividi la trovai bellissima, come l’apparizione d’una Madonna. A dispetto del mio crescente amore, durante quei nuovi giorni insieme mi sembrò fredda, distante, tormentata; sembrava in bilico tra la voglia di concedersi fisicamente e quella di resistermi. La mia inesperienza sessuale ovviamente non aiutò a spingerla nella direzione che avrei voluto. Infine le scuole riaprirono e tornò nella sua città.

Una relazione non sarebbe stata impossibile, in fin dei conti abitava ad appena un’ora d’auto, e infatti io la consideravo la mia ragazza. Però non mi permise mai di andarla a trovare accampando scuse, finché un giorno di inizio autunno ero a tavola apprestandomi a pranzare quando improvvisamente mi si chiuse lo stomaco: un suo sms mi informava che era confusa e si trovava sul treno per andare a passare il fine settimana fuori regione a casa del suo ex (in seguito seppi che ex non era, dato che non si erano ufficialmente lasciati nel periodo in cui stavamo insieme). Provai a chiamarla ma a quanto pare tra le donne è diffuso il pensiero che, dopo aver sganciato una bomba, sia meglio troncare ogni comunicazione radio. Per il bene dell’uomo, ça va sans dire. 


Mi crollò il mondo addosso: ero impotente mentre l’unica gioia che l’universo mi aveva portato stava andando a farsi scopare da un altro uomo.

Ero un 25enne sentimentalmente immaturo e reagii in maniera eccessivamente drammatica a quella che qualunque coetaneo avrebbe considerato una storiella estiva giunta al termine. Anziché replicare con un orgoglioso “fanculo, avanti la prossima” cercai disperatamente di riconquistarla e fui protagonista di un paio di scenate veramente ridicole, di cui mi vergogno profondamente. L’ultima terminò con me in lacrime tra le sue braccia, la sera che vennero suggellate la mia sconfitta e la vittoria dell’ex.

 Nei giorni seguenti, sempre più abbattuto, mi trovai in lacrime anche tra le braccia di un carissimo amico e collega di lavoro, che mi dette un consiglio che si sarebbe rivelato risolutivo per la mia vita. In positivo o in negativo lo lascerò decidere a voi. 

C6: COLPITO E AFFONDATO 

Il mio amico mi consigliò di installare sul computer un programma di chat allora relativamente diffuso: C6. A quel tempo le chat non erano il regno dell’apparenza, dell’egocentrismo e della pretenziosità femminile che conosciamo oggi, in parte perché erano appannaggio di pochi timidi e timide che cercavano strade alternative alle difficoltà sociali della vita reale, ma principalmente perché la banda a disposizione era poca e quindi le immagini e i video non potevano essere al centro dell’attenzione, tant’è che non era nemmeno prevista una foto del profilo. Si sceglieva un nickname e ci si buttava nella mischia. Certo, era sempre possibile scambiarsi foto, magari per mail, ma non era qualcosa di scontato o addirittura obbligatorio. 

 Nel giro di poco tempo riuscii a organizzare un paio di incontri con delle ragazze della mia provincia, senza però combinare nulla. Nonostante i due insuccessi, fu positivo constatare quanto fossi cambiato grazie a quell’unica esperienza estiva: ero propositivo, mi sentivo a mio agio, non avevo difficoltà a parlare, anche se – va detto – non provai a baciarle. Nemmeno il due di picche esplicito della prima ragazza, che rifiutò un secondo incontro, mi abbatté.

Nel frattempo continuavo a chattare con una ragazza di un’altra regione conosciuta fin dai primi giorni di C6, quando non avevo ancora capito che era opportuno impostare il filtro geografico prima di procedere alla ricerca delle utentesse online. Questa ragazza si comportava in maniera alquanto strana e talvolta mi faceva persino dubitare fosse una femmina. Su sua richiesta le avevo inviato diverse foto e le ero piaciuto molto fisicamente, ma lei si rifiutava di mandarne a me, sostenendo di essere grassissima e di non volere farsi vedere. Inoltre era scostante, spesso si esprimeva a monosillabi, si offendeva per un nonnulla ed era incredibilmente permalosa. Non fossi stato lo sfigato che ero, probabilmente l’avrei mandata subito a quel paese. Alla fine la convinsi a mandarmi quelle benedette foto, e mi resi conto che era davvero una ragazza diciannovenne e non era assolutamente grassa. 

Organizzammo un incontro a casa mia per l’ultimo dell’anno, ormai prossimo. Prima di incontrarla feci qualcosa di cui allora non potevo immaginare l’importanza, altrimenti avrei immortalato in una foto quel momento storico: mi rasai la testa a zero. Da quel giorno di tanti anni fa i miei capelli non sono mai stati più lunghi di pochi millimetri. Chissà, forse sono un Sansone alla rovescia: tutta la mia debolezza risiedeva nei capelli e liberarmene mi permise finalmente di spiccare il volo. Un volo a capofitto nel precipizio… ma andiamo con ordine. 

 Ci incontrammo e lei era decisamente timida e imbarazzata mentre io non lo ero per niente, e questo mi pose in netta posizione di superiorità: sul divano provai a baciarla con spavalderia e rispose subito positivamente al mio bacio. Quella sera finimmo a letto insieme e per la prima volta dormii con una donna. Dormire insieme è una pratica che troppo spesso viene sottovalutata: io la considero una delle esperienze più profonde che un uomo possa avere con una donna. Abbandonarsi alle braccia di Morfeo dopo essersi abbandonati l’uno all’abbraccio dell’altra è un segno di grande fiducia reciproca, anche se non escludo che per un maschio sia un modo inconscio di “maternizzare” la partner. 

LA SBRONZA 

Devo essere sincero: non fu amore a prima vista. Non posso dire di essere stato travolto dal suo aspetto, o dal suo modo di fare, o dai suoi pensieri. Forse la nostra relazione avrebbe dovuto nascere e morire quella prima sera, anche considerato che ci separavano quasi tre ore di auto. Invece continuai a vederla, un po’ per inerzia, un po’ perché il destino tesseva trame intricate e appiccicose come la tela d’un ragno.

Si presentò nuovamente uno scenario simile a quello che avevo appena vissuto con la precedente ragazza: un ex ingombrante che non si capiva quanto ex fosse, distante geograficamente in quanto viveva in un’altra regione ma assiduo in quanto anch’egli disperatamente sfigato, lei così legata a lui da non riuscire a smettere di sentirlo telefonicamente nonostante le conversazioni finissero immancabilmente in litigi. Anzi, sembrava che lei avesse bisogno di quei litigi come dell’aria. 

Stavamo insieme da meno di un mese e mi disse che doveva fare chiarezza e che sarebbe andata da lui per passare il fine settimana, che avrebbe dormito nel suo letto ma non sarebbe successo niente. Mi impuntai e le dissi che non lo avrei accettato. Accettò il mio ultimatum e annullò l’incontro, ma non smise mai di sentirlo per telefono, finendo per parlare più con lui che con me, eleggendo lui a confidente del suo cuore e relegando me al ruolo di muto fidanzato.

Naturalmente una persona sana di mente non avrebbe mai accettato tutto questo, soprattutto per una donna appena conosciuta e per la quale non era nemmeno scattato il proverbiale colpo di fulmine. Io però non ero sano di mente: ero entrato da poco in un mondo nuovo, un territorio affascinante ma ostile, convinto di dover difendere ogni millimetro conquistato perché se avessi ceduto sarei certamente tornato alla desolante solitudine che avevo lasciato pochi mesi prima, l’unica realtà a quel tempo vividamente impressa nella mia mente. Avevo le sembianze giuste per mimetizzarmi, quelle di un adulto, ma sapevo bene di essere un bluff, un fanciullo che poteva essere scoperto in qualunque momento. 

Inoltre non potevo tollerare d’essere nuovamente battuto da un altro uomo: era in gioco il mio orgoglio e ricordavo perfettamente il bruciore della precedente sconfitta per mano dell’ex. Non solo: ero come annebbiato dai fumi dell’alcool, mi ero rapidamente ubriacato come chi beve un bicchiere a stomaco vuoto, e l’euforia portata dal vino mi incatenava alla bottiglia. Allontanarmi da casa e dal paese, ritrovarmi in un luogo così differente (in una città!), rimanere a dormire da lei, passeggiare mano nella mano, accompagnarla al centro commerciale, avere qualcuna da chiamare e che mi chiamasse: ero innamorato di quelle sensazioni mai sperimentate prima, mi sentivo finalmente accettato nel club delle persone normali; confuso ed estasiato mi muovevo a tentoni, le cose accadevano più velocemente di quanto riuscissi a decodificarle, e in mezzo a quella giostra lei era l’unico punto fermo. Lei era Virgilio che mi accompagnava fuori dall’inferno, e io, ubriaco com’ero, l’avevo scambiata per Beatrice.

Continuammo a vederci ogni fine settimana. Io strappavo al lavoro ogni minuto possibile per raggiungerla e stare con lei. Al di là degli aspetti positivi che ho già descritto – e che per me rappresentavano una novità assoluta – il nostro rapporto era piuttosto disfunzionale e frustrante.

 Lei continuava a offendersi per nulla esattamente come faceva in chat, interpretando negativamente qualunque cosa io dicessi, prendendo per insulti qualunque critica o battuta, rifiutandosi di esprimere qualsiasi opinione preferendo trincerarsi dietro a un’infinità di “non lo so”. A dire il vero questi comportamenti erano presenti in minima parte quando eravamo fisicamente insieme, ma diventavano la prassi durante la settimana al telefono. A volte smetteva di rispondere alla mie chiamate e ai miei messaggi, a volte mi lasciava per poi riprendermi il giorno dopo. Io ci soffrivo ma mi stavo abituando a quel nuovo tipo di sofferenza: è incredibile quanto il dolore e le privazioni possano legare un animo tormentato. Anziché fuggire a gambe levate cercavo in tutti i modi di averla vinta, manco fosse una gara: se lei non mi rispondeva continuavo a chiamarla finché non si arrendeva, se mi lasciava al telefono mi facevo tre ore di auto per farle la sorpresa di trovarmi di fronte al suo portone, se sentiva il suo ex la tormentavo finché non mi rivelava cosa si erano detti.

I mesi passarono rapidi e il nostro rapporto si contorse sempre più, attorcigliandoci l’uno all’altra in una stretta soffocante ma difficilmente snodabile. Finché arrivò giugno e la fine della scuola e lei dovette decidere in quale università iscriversi. Ebbi una “grande” idea: iscriviti nella città vicina a quella dove lavoro, così prendiamo una casa in affitto!

Poco più di un anno dopo aver dato il primo bacio, già convivevo.

Continua…

 

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Sonny
Sonny
6 anni fa

Scommetto un rene che la convivenza fu la definitiva morte di questa relazione